Pronuncia di rilevante importanza quella emanata dagli ermellini nel luglio scorso.

I massimi giudicanti hanno, infatti, rigettato un ricorso proposto da un dipendente di una nota compagnia telefonica, licenziato per aver usato indebitamente e per fini personali il cellulare aziendale e confermato, in tal modo, la bontà del provvedimento di recesso avanzato dal datore di lavoro nei di lui confronti, già soccombente nei primi due gradi di giudizio.

Nello specifico il malcapitato dipendente aveva omesso ogni tipo di vigilanza sull’uso che il figlio ventenne aveva fatto del cellulare aziendale inviando una quantità abnorme di sms.

Tale condotta è perfettamente sussumibile, a detta della Cassazione, nella nozione di giusta causa di licenziamento di cui all’art. 2119 c.c., ormai pacificamente ravvisabile anche in fatti e comportamenti estranei alla sfera del contratto e diversi dall’inadempimento, purchè idonei a produrre effetti riflessi nell’ambiente di lavoro ed a far venir meno la fiducia che deve necessariamente caratterizzare il rapporto di lavoro.

L’organo nomofilattico, pertanto, non ha fatto altro che confermare questo pacifico assunto ritenendo che la condotta del dipendente, nel caso di specie, fosse stata tale “da far venir meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, per i profili soggettivi ed oggettivi, per essersi protratta nel tempo e per gli indebiti vantaggi conseguiti in danno del datore di lavoro”. (© Dario Avolio)