Con la recentissima sentenza n. 7819 del marzo scorso la Suprema Corte è intervenuta con pugno duro sulle famose pause caffè, tanto in voga tra dipendenti pubblici e privati.
Nello specifico si è esaminato il caso di un cassiere di banca licenziato perché allontanatosi momentaneamente dalla cassa per un caffè.
Licenziato dall’istituto di credito, lo stesso era risultato soccombente nel successivo giudizio di impugnativa del licenziamento.
Ricorreva quindi in Cassazione censurando la sproporzione tra condotta e sanzione applicata e assumendo che, al momento dell’allontanamento, operavano più casse per cui la breve assenza non avrebbe inciso in modo determinante sull’attesa dei clienti.
La Cassazione, tuttavia, non ha condiviso tale linea difensiva partendo dal presupposto che “La giusta causa di licenziamento di un cassiere di banca, affidatario di somme anche rilevanti, deve essere verificata con riguardo non solo all’interesse patrimoniale della datrice di lavoro, ma anche, sia pure indirettamente, alla potenziale lesione dell’interesse pubblico alla sana e prudente gestione del credito.
Nel confermare la legittimità del licenziamento la Suprema Corte precisava, altresì, che la censura alla decisione impugnata di non avere tenuto conto che al momento dell’allontanamento del lavoratore per la pausa caffè operavano più casse, non è decisivo perché la presenza di una pluralità di casse non esclude comunque che il venir meno di una cassa rallentava le operazioni delle altre sulle quali venivano dirottati i clienti in fila”. (© Avv. Dario Avolio)