Rilevante intervento giurisprudenziale quello contenuto nella sentenza n. 206 dello scorso gennaio 2013 con la quale gli Ermellini hanno fissato un orientamento circa la legittimità o meno del licenziamento di un dipendente nell’ipotesi in cui lo stesso sia imputato in un procedimento penale ma venga successivamente assolto.
Il caso da cui prende spunto la decisione del Supremo Collegio è riferito al ricorso presentato da un dipendente di un ente pubblico che era stato licenziato in seguito alle condotte che avevano comportato l’avvio di un procedimento penale poi conclusosi con una sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato.
A fronte di tale pronuncia assolutoria il dipendente aveva quindi impugnato il licenziamento affermando l’illegittimità del medesimo alla luce della pronuncia assolutoria.
La Suprema Corte nel rigettare il ricorso ha affermato che la formula assolutoria “perché il fatto non costituisce reato”, a differenza delle diverse previsioni “perché il fatto non sussiste” o “perché l’imputato non l’ha commesso”, non esclude totalmente la responsabilità dell’imputato in relazione ai fatti ascritti.
Tale formula, infatti, se esclude la rilevanza penale delle condotte, certamente fa permanere profili di responsabilità valutabili nelle diverse sedi civili e che sono idonee a giustificare un licenziamento poichè tali condotte, anche se non sanzionabili penalmente, sono tali da minare il rapporto fiduciario. (© Avv. Dario Avolio)