La Suprema Corte è recentemente tornata (sent. n. 26594/2009) a valutare i profili penali del mobbing e, nello specifico, se tale fattispecie possa essere inquadrata o meno nel reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p.

E’ noto, infatti, che la condotta mobbizzante non sia prevista e punita su un piano penale mancando, a tutt’oggi, una fattispecie legale di riferimento.

Pertanto, in ottica punitiva, si tentava di rintracciare un’eventuale profilo penale della condotta attraverso un’interpretazione estensiva del reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p.

La Cassazione, tuttavia, sembra aver escluso del tutto tale sussumibilità rilevando che nella fattispecie esaminata “l’impiegata era inserita in una “realta’ aziendale complessa […], la cui articolata organizzazione non implicava una stretta e intensa relazione diretta tra datore di lavoro e dipendente, si’ da determinare una comunanza di vita assimiliabile a quella caratterizzante il consorzio familiare”.

Con tale assunto il Supremo Collegio ha chiarito che il mobbing non è un reato anche se dallo stesso scaturiscono conseguenze sul piano civilistico che consentono al lavoratore di rivendicare un indiscusso diritto al risarcimento del danno patito. (© Avv. Dario Avolio)