Al lavoratore può costare caro svolgere con lentezza le mansioni assegnate.
Con una recente sentenza, infatti, la Cassazione è intervenuta con pugno duro nei confronti di alcuni atteggiamenti posti in essere dal lavoratore sul luogo di lavoro.
Nello specifico, richiamando anche una già copiosa giurisprudenza sul punto, è stato stabilito che la lentezza nello svolgimento delle mansioni lavorative costituisce giusta causa di licenziamento.
In tali casi, infatti, l’interruzione del rapporto lavorativo risulta pienamente giustificata dal venir meno del vincolo fiduciario, atteso il comportamento inaffidabile e inefficiente del prestatore di lavoro.
Dinanzi ad un atteggiamento caratterizzato da numerose manchevolezze, tra le quali spiccano la lentezza nell’eseguire i compiti assegnati e le frequenti assenze, ben può ritenersi legittima la decisione di procedere al licenziamento.
La prova per giungere ad un simile trattamento sanzionatorio può ritenersi integrata dal raffronto tra la prestazione resa dal lavoratore “contestato” e le prestazioni medie garantite da lavoratori adibiti alle medesime mansioni. 

Proprio il raffronto di questi due parametri, infatti, è idoneo a far emergere la negligenza del lavoratore che può agevolmente risultare  “dalla sproporzione tra gli obiettivi fissati nei programmi di produzione e quelli effettivamente raggiunti”. Sempre in tema di licenziamento, nella diversa ipotesi in cui lo stesso sia dichiarato illegittimo, è opportuno segnalare che il lavoratore può agire in sede giudiziale per il riconoscimento anche del danno cd. esistenziale.

La mancanza di ragioni a suffragio del provvedimento di licenziamento, infatti, giustifica la risarcibilità di tale posta di danno che, precedentemente, veniva assorbita nel danno non patrimoniale e che scaturisce dalla lesione dei diritti della persona anche in assenza di reato. (© Avv. Dario Avolio) ARTICOLO PUBBLICATO SU “LO STRILLONE”