La diffusione di notizie atte a discreditare  l’immagine dell’azienda in cui si è assunti, anche laddove rispondessero al vero, può essere giusta causa per il licenziamento di un dipendente.
A sancirlo è stato il supremo collegio cassando con rinvio una sentenza, emessa dalla Corte d’Appello del tribunale di Milano, che, al contrario, aveva stabilito l’illegittimità del licenziamento di un’infermiera caposala dalla struttura ospedaliera nella quale lavorava confermando la decisione già presa in primo grado da un giudice del lavoro del tribunale di Monza.
I giudici di piazza Cavour erano stati investiti della questione su ricorso promosso dalla struttura ospedaliera che, in punto di fatto, aveva riferito come l’infermiera, con il diffondere informazioni riservate, avesse procurato notevoli danni all’estimazione di serietà di una struttura particolarmente nota e di alto prestigio”.
I datori di lavoro, nello specifico, censuravano il profferimento, da parte dell’ormai ex dipendente, di una serie di “espressioni offensive sulla capacità e sulla professionalità del personale” nonchè “la divulgazione di addebiti contenuti in una lettera di contestazione relativi al ritrovamento di prodotti scaduti presso il blocco operatorio“.
A detta dei giudici di prime cure tali contegni non avrebbero giustificato il licenziamento dell’infermiera che, pertanto, avrebbe dovuto essere reintegrata.
Di contrario avviso sono stati gli ermellini della  sezione Lavoro rilevando che “non è stata data ragione alcuna della ritenuta assenza di danno che la divulgazione (anche nei confronti dello stesso personale dell’azienda nonché per la diffusiva potenzialità verso l’esterno) della notizia assumeva per l’immagine di una struttura ospedaliera”.
E, cosa più importante, – secondo la Cassazione – “la molteplicità degli episodi, oltre ad esprimere un’intensità complessiva maggiore dei singoli fatti, delinea una persistenza che è di per sé ulteriore negazione degli obblighi (di fedeltà) del dipendente”. (© Dario Avolio)