A seguito di numerose pronunce discordanti, sembra aver avuto il placet della Suprema Corte la possibilità di accedere alla consulenza tecnica d’ufficio anche nella cause di separazione e divorzio giudiziali.
E’ noto che, a norma dell’art. 61 c.p.c., “Quando è necessario il Giudice può farsi assistere per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza. La scelta deve essere normalmente fatta tra le persone iscritte agli albi speciali formati a norma delle disposizioni di attuazione del presente codice”.
In buona sostanza, il consulente tecnico è chiamato a fornire al giudice una conoscenza su nozioni che il medesimo non è in grado di conoscere anche in ragione della terzietà connessa al ruolo che ricopre.
Tale figura, che in numerosissime controversie si rivela essenziale ai fini del decidere, ha trovato recente cittadinanza anche nelle controversie familiari in cui dovrà essere tesa a fornire elementi informativi e conoscitivi del nucleo familiare in conflitto che non possono altrimenti essere ricavati dallo svolgimento del processo.
Al riguardo gli Ermellini hanno chiarito che la CTU in materia di separazione e divorzio, è sempre una consulenza psicologica in cui il consulente è chiamato ad analizzare le caratteristiche psicologiche e le dinamiche relazionali del soggetti interessati.
Egli quindi dovrà valutare la capacità genitoriale con riferimento non solo alle qualità del singolo genitore, ma anche in senso relazionale, ovvero rapportata all’intero sistema familiare oggetto di indagine.
Le risultanze della consulenza saranno fondamentali ai fini del decidere e potranno essere utilizzate dal giudice per l’adozione dei provvedimenti relativi all’affido dei figli e all’eventuale addebito della separazione o divorzio a carico di uno dei coniugi. (© Avv. Dario Avolio)