Decisione di rilievo e in palese contrasto con un altrettanto recente intervento nomofilattico sul punto, quella contenuta nella sentenza n. 1222/2009.
Con tale statuizione gli Ermellini si soffermano sul momento consumativo del reato di coltivazione di piante stupefacenti arrivando ad escluderne la configurabilità laddove le piante di cannabis non siano maturate.
I massimi giudicanti motivano la decisione rilevando che, perché si configuri il reato ascritto, è necessario provare “in concreto e non a futura memoria, con assoluta certezza al di la’ di ogni ragionevole dubbio, che la sostanza detenuta sia in grado di produrre effetti droganti”.
Sulla scorta di tale linea direttrice la Suprema Corte ha, quindi, cassato una sentenza della Corte di Appello di Ancona che aveva confermato la condanna alla pena di 1 anno e 4 mesi di reclusione, oltre ad una multa di 7000 euro, ai danni di un soggetto, reo di aver piantato 23 piantine di cannabis nel terreno di casa in realtà non giunte a maturazione.
La decisione della Corte d’Appello si fondava sulla motivazione che, in ogni caso, le piantine avrebbero comunque, con la successiva maturazione, prodotto i principi attivi droganti e che a nulla rilevava, di converso, che ciò non fosse già avvenuto.
La Cassazione, al contrario, si è mostrata di opposto avviso ritenendo che in assenza di maturazione non è possibile apprezzare in concreto la portata dei principi attivi droganti contenuti nelle stesse.
Pertanto tale accertamento si rivelerebbe insufficiente per dimostrare la concreta offensività della condotta posta in essere dal soggetto agente.

Per questo “l’accertamento a futura memoria, in cui si ipotizza, più che la attuale produzione di principi attivi, l’attuale assenza di ostacoli alla futura produzione di principi attivi, non può fondare una dichiarazione di responsabilità in un ordinamento in cui vige il principio della presunzione della non colpevolezza”. (© Avv. Dario Avolio)