Con la recentissima sentenza n. 24510 del 30 giugno scorso, il Supremo Collegio ha negato la possibilità di punire l’autore di molestie, effettuate a mezzo e mail, ai sensi della relativa fattispecie di cui all’art. 660 c.p.
Disattendendo e ribaltando la decisione dei giudici di prime cure, gli ermellini hanno affrontato il caso di un uomo, reo di aver offeso a mezzo e mail una collega di lavoro, con apprezzamenti lesivi della sua libertà personale e professionale.
Querelato immediatamente dalla donna per il reato di molestia, lo stesso veniva condannato in primo grado e in sede d’appello poiché. in entrambi i procedimenti, i giudici di merito ravvisavano in tale condotta gli estremi del reato ascritto.
I giudici di legittimità hanno, invece, sconfessato le precedenti decisioni ritenendo, nel caso di specie, non ascrivibile il reato di cui all’art. 660 c.p., poichè “una semplice e-mail non comporta, a differenza di una telefonata, nessuna immediata interazione tra il mittente e il destinatario, ne` intrusione diretta del primo nella sfera delle attivita` del secondo”.
In altri termini, continua la Suprema Corte, “una e-mail, non ha lo stesso carattere invasivo di una telefonata, nella quale il destinatario non ha modo di sottrarsi alla intrusione se non se non disattivando l’apparecchio telefonico, con conseguente lesione della propria liberta` di comunicazione, costituzionalmente garantita”. (© Avv. Dario Avolio)