Il datore di lavoro che, approfittando della situazione di mercato con grande domanda e poca offerta di occupazione, sottopaga i dipendenti sotto il minimo sindacale e viola le norme di tutti i contratti collettivi, profferendo minacce in caso di ribellione da parte dei sottoposti, commette il delitto di estorsione.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 36642/07, ha così confermato a carico di tre datori di lavoro sardi di Nuoro il verdetto con il quale la Corte di Appello di Cagliari (contrariamente ai giudici di primo grado che li avevano assolti) li ha giudicati colpevoli di estorsione infliggendo a ciascuno tre anni e mezzo di carcere e 800 euro di multa.
Nello specifico i tre datori, nelle società di loro proprietà
, avevano costretto tre lavoratrici «ad accettare trattamenti retributivi deteriori e non corrispondenti alle prestazioni effettuate e, in genere, condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi, approfittando della situazione di mercato in cui la domanda di lavoro era di gran lunga superiore all’offerta e, quindi, ponendo le dipendenti in una situazione di condizionamento morale, in cui ribellarsi alle condizioni vessatorie equivaleva a perdere il posto di lavoro».

Ad avviso della Suprema Corte questa situazione non può rispecchiare il semplice fenomeno del lavoro nero ma integra tutti gli estremi del reato di estorsione. (© Avv. Dario Avolio)