La Suprema Corte, con la recente sentenza n. 23693/2010, è intervenuta a fissare nuovi limiti nel linguaggio che un docente è tenuto ad utilizzare nei confronti dell’alunno.
In particolare, i giudici di legittimità hanno analizzato la possibile integrazione del delitto di ingiuria, previsto dall’art. 594 c.p., in capo all’insegnante che apostrofi l’allievo con espressioni colorite.
Il caso sotteso alla pronuncia riguardava un alunno di scuola superiore, rappresentante di classe, che, in occasione delle valutazioni quadrimestrali, aveva criticato pacatamente l’operato della professoressa, senza alcuna offesa e lamentando esclusivamente una mancata trasparenza nelle valutazioni.
L’insegnante, a tale legittima critica, anche in considerazione del ruolo di rappresentante del ragazzo, aveva apostrofato quest’ultimo come una persona non perbene, presuntuosa e ignorante.
Seguiva immediata la denuncia all’Autorità per il delitto di cui all’art. 594 c.p. per il quale l’insegnante veniva condannata nei primi due gradi di giudizio e si vedeva costretta a ricorrere in Cassazione.
Gli ermellini, tuttavia, hanno confermato gli approdi dei precedenti giudici stabilendo, in linea di principio, che “commette reato di ingiuria l’insegnante che in risposta a un alunno che si limita a criticare in modo corretto e pacato la sua condotta contestandole una mancanza di trasparenza nelle sue valutazioni, risponde pronunciando l’espressione “non sei una persona perbene, sei presuntuoso e ignorante”. (© Avv. Dario Avolio)