Interessante lettura quella data recentemente dal Supremo Collegio alla condotta del datore di lavoro che prospetti una perdita del posto di lavoro nel caso in cui il dipendente non accetti un compenso inferiore a quello indicato nella busta paga.
Al riguardo la sentenza n. 32525 del 31/8/2010 rende definitivamente riconducibile tale contegno al delitto di estorsione di cui all’art. 629 c.p.,
In motivazione i massimi Giudicanti chiariscono come tale addebito è giustificato tenendo conto che in nessun caso può essere legittimata e ricondotta “alla normale dinamica di rapporti di lavoro” un’attività minatoria, in danno di lavoratori dipendenti, che approfitti delle difficoltà economiche o della situazione precaria del mercato del lavoro per ottenere il loro consenso a subire condizioni di lavoro deteriori rispetto a quelle previste dall’ordinamento giuridico, in attuazione delle garanzie che la Costituzione della Repubblica pone a tutela della libertà, della dignità e dei diritti di chi lavora “.
Alla luce di ciò, la prospettazione della perdita del lavoro è del tutto idonea a far sorgere nel soggetto passivo il timore di subire un pregiudizio concreto e, di converso, a minare la libertà di operare una scelta libera e senza condizionamenti. (© Avv. Dario Avolio)