La Suprema Corte è nuovamente intervenuta, con sentenza n. 35/2012, sulla ragionevole durata del processo e sulla possibilità, spettante alle parti di un giudizio concluso dopo anni, di chiedere il risarcimento al ministero della Giustizia laddove vi sia stato il mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (ratificata con legge 5 agosto 1955, n. 848).
E’ noto, infatti, che in tali ipotesi è possibile ricorrere alla Corte d’appello nel distretto ove ha sede il giudice competente, ai sensi dell’art. 11 c.p.p., a giudicare i magistrati che hanno trattato la causa di merito, al fine di ottenere la condanna dell’amministrazione intimata al pagamento di una somma di denaro per l’eccessiva durata del processo.
Nella pronuncia in esame il Supremo Collegio ribadisce che tale facoltà spetta non solo alla parte risultata vittoriosa nel processo eccessivamente lungo, ma anche al soccombente.
Tale diritto, peraltro, precisano i giudici: dovrà essere accertato, ai sensi dell’articolo 2 della legge 89, in relazione alla complessità del caso e al comportamento delle parti a nulla rilevando la scarsa probabilità di successo della sua iniziativa giudiziaria da parte di chi fa la richiesta di equa riparazione.
(© Avv. Dario Avolio)