Tempi duri per i gestori delle piscine private e comunali a seguito della recentissima pronuncia n. 5086, resa dal Supremo Collegio in data 2 marzo 2011.
Con tale decisione la Cassazione ha, infatti, individuato la responsabilità dei gestori delle piscine laddove non appongano un apposito cartello che segnali il divieto di tuffi dove l’acqua è bassa.
Il caso sotteso alla pronuncia muove da un ricorso presentato da una ragazza che, tuffandosi in piscina in un punto in cui l’acqua era troppo bassa, aveva riportato danni biologici gravi, comprese numerose fratture.
La malcapitata proponeva quindi azione giudiziale facendo leva proprio sulla circostanza che nessun cartello in quel punto della piscina vietasse i tuffi.
In grado d’appello i giudici riconoscevano una percentuale del 30% di colpa concorrente a carico della ragazza tenendo conto che la stessa, in qualità di nuotatrice abituale, avrebbe dovuto conoscere la profondità dell’acqua.
Gli Ermellini hanno ribaltato tale decisione riconoscendo l’integrale responsabilità a carico del gestore in quanto”l’apposizione di mezzi idonei a segnalare la profondità della piscina e di un esplicito cartello per vietare i tuffi, dove la profondità non li consente in sicurezza, risponde alle comuni regole di prudenza, specificate nei confronti del gestore della piscina, volte ad impedire il superamento dei limiti del rischio connaturato allo svolgimento dell’attività sportiva”.
In definitiva, secondo la Suprema Corte “in presenza di idonei segnali di pericolo, il comportamento dell’uomo medio, e, tanto più quello di un’adolescente, avrebbe potuto essere più accorto sino ad arrivare ad escludere il compimento del comportamento vietato”. (© Avv. Dario Avolio)