Le Sezioni Unite della Cassazione (sent. 26.01.2009 n. 1850) sono recentemente intervenute a comporre un contrasto in tema di prova del danno da perdita di “chance”.
La cosiddetta perdita di “chance” costituisce un’ipotesi di danno patrimoniale futuro.
Come tale essa è risarcibile, precisano i Giudici, a condizione che “il danneggiato dimostri (anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate) la sussistenza di un valido nesso causale tra il danno e la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno”.
Muovendo da tale dictat i Giudici del Supremo Collegio hanno ulteriormente precisato che, i danni derivanti dalla perdita di “chance”, intesi come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non costituiscono una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione.
Pertanto, qualora il daneggiato voglia ottenere, oltre al rimborso delle spese sostenute anche il ristoro di tali danni, ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta.
La pronuncia della Suprema Corte arriva quindi a gravare il danneggiato-creditore di un onere probatorio che non è suscettibile di essere supplito con la consulenza tecnica d’ufficio.
Come non può supplire, nella determinazione concreta dell’ammontare di tale danno, la valutazione equitativa, ammessa solo laddove sia impossibile o estremamente difficoltosa la sua precisa determinazione da parte del creditore e non per colmare carenze probatorie poste in essere dallo stesso anche sotto tale ulteriore profilo. (© Avv. Dario Avolio)